Sant’Antonio

Crocifisso Ligneo (sec. XVI)
(Foto Proporcia e testo di Anna e Andreina Comoretto – Pasqua 1999)

L’imponente Crocifisso ligneo attualmente conservato nella chiesa, proviene dal deposito dell’antica chiesa di San Giorgio di Porcia, ma non si conosce la sua collocazione originaria. Le sue dimensioni monumentali (il corpo è alto cm. 175), il fatto che sia scolpito e dipinto a tutto tondo, l’inclinazione del capo, il forte sviluppo anatomico in lunghezza, suggeriscono comunque una sua destinazione iniziale come Crocifisso da iconostasi, collocato cioè sulla trave di separazione tra presbiterio e aula in una chiesa di grandi dimensioni.
La scultura è stata confrontata da Fabio Metz e Paolo Goi con una vasta produzione locale di Crocifissi di grandi dimensioni che vanno dal sec. XV al sec. XVII; tra questi si possono ricordare come esempi importanti quelli della chiesa del Cristo, di San Giorgio e del Duomo di Pordenone, della Parrocchiale di San Martino al Tagliamento e del duomo di Valvasone.

Il nostro dichiara nell’accentuato naturalismo una sua possibile appartenenza alla prima metà del sec. XVI.

Stato di conservazione – Il corpo è ricavato da un unico tronco di tiglio a cui sono state aggiunte le braccia con un sistema di incastri lignei a scomparsa. Prima del restauro la scultura presentava attacchi di insetti perforatori del legno e diverse fenditure corrispondenti all’arcuatura del corpo, soprattutto lungo il perizoma ed il busto. Il Cristo riportava sul retro, tra il perizoma e la coscia sinistra, la perdita di un ampio frammento applicato fin dall’origine a sostituzione di un difetto del legno; altre aggiunte su difetti di origine sono visibili sul costato sinistro. Il colore brunastro visibile prima del restauro era il risultato di maldestre ridipinture e verniciature che si erano alterate nel tempo e che conferivano all’opera un aspetto sordo e piatto senza permettere di apprezzare le finezze dell’intaglio.

Restauro – Il recupero, eseguito con la costante supervisione della Soprintendenza, è consistito nella preventiva disinfestazione e nel risanamento delle fenditure del legno con la chiusura della lacuna comprendente gamba e perizoma. Dopo aver constatato la presenza di ben tre ridipinture, la pulitura del colore è stata condotta “a strati”, selezionando di volta in volta la miscela di solventi più opportuna. Di particolare impegno si è dimostrata l’asportazione del colore a contatto con lo strato originario, in quanto realizzato a caseina, legante che con l’invecchiamento acquisisce una eccezionale resistenza ai comuni solventi, per rimuovere il quale è stato necessario l’aiuto di un microscopio. Si è quindi proceduto con l’intervento estetico consistito nella stuccatura delle lacune e nell’integrazione pittorica finalizzata a restituire omogeneità all’immagine. Con queste operazioni sono emersi dettagli prima mortificati dalle ridipinture, come il rilievo delle vene sulle gambe, ottenuto con l’inserimento di filamenti di corda, il sangue meno scomposto anche se ingenuo nella “mappatura”, i denti seminascosti dalla bocca socchiusa e le lacrime appena accennate. Il restauro ha riportato alla luce un Crocifisso di eccezionale qualità artistica la cui bellezza sta nel contrasto tra la freddezza dei colori di un corpo già morto e la drammatica naturalezza di un volto che esprime non solo la sofferenza, ma anche la vita che di lì a poco avverrà.